giovedì, novembre 11, 2004

Serendipity

Serendipity: la capacità di trovare qualcosa di prezioso quando non lo si stà cercando. Da Serendip, personaggio di "le mille e una notte".

«Papà, mi racconti una storia?»
«Quale vorresti ascoltare?»
«Una nuova.»

C'era una volta un ragazzo. Non era molto ricco, nè molto bello. Non era nè un principe nè un re, non sapeva essere un buon regnante. Non era un cavaliere perché aveva paura ad andare a cavallo. Non era neppure uno scaltro mercante, sugli affari era troppo onesto e approssimativo, non dava molto valore al denaro. No, non interrompermi, qualche qualità la aveva. Era sincero, a modo suo forte. Era cresciuto in strada, imparando dai suoi errori, ma era riuscito a non sporcarsi con il sangue di nessuno. Viveva con partecipazione. Se vedeva un bambino ferito piangeva. Se incrociava una donna sorridente si sentiva felice. Non é molto come qualità, ed é un'arma a doppio taglio. Forse, però, la cosa più speciale che aveva, quella che lo renderà il protagonista della storia, era una dote strana, sfuggente: sapeva trovare tesori. No, non grossi tesori sepolti, cose preziose a loro modo: vecchi ricordi, un vestito amato, una bambola, gioielli... La gente del paese, quando smarriva qualcosa, andava da lui e gli diceva: l'ho perso. Non gli diceva cosa, nè dove. L'ho perso, dicevano, niente altro. Lui annuiva e li commiatava. Poi rimaneva seduto qualche istante, a occhi chiusi. Dopo quel primo momento di raccoglimento tornava a fare quello che stava facendo, senza pensarci più. Se stava per andare a prendere l'acqua al pozzo raccoglieva il secchio, si alzava e si incamminava verso il centro del paese. A metà strada, poi, vedeva brillare qualcosa in terra, o un drappo colorato sporgere da un cespuglio. Lo prendeva, qualsiasi cosa fosse, ed era sempre un'oggetto smarrito, cercato, amato, prezioso per qualcuno. Magari non quello che gli erano venuti a chiedere quel giorno, magari si. Allora lui infilava il tesoro nella sua bisaccia e finiva quello che stava facendo, tirava su l'acqua dal pozzo e tornava a casa sorridendo. Dentro casa tirava fuori il suo tesoro, lo guardava e gli chiedeva: chi ti ama? Chi si dispera, ora, per te?
Non so come facesse allora, forse l'oggetto a modo suo gli rispondeva, fatto stà che lo avvolgeva in un panno di lino, bianco, e lo portava dal proprietario, che, alcune volte, non si era neppure accorto di averlo perduto. E allora gli davano una ricompensa, senza che lui la chiedesse, in base alle loro possibilità. Lui accettava quello che gli davano, fosse anche una mela da sbocconcellare per la via, sorrideva e se ne andava. La maggior parte delle volte, poi, il valore della ricompensa era maggiore di quello dell'oggetto. Perché quello era un tesoro amato, e il denaro invece non si può amarlo, al massimo uno può esserne ossessionato. La cosa lo rendeva felice, e gli dava di che vivere, anche se qualche volta gli aveva causato dei problemi. Qualcuno aveva pensato che l'avesse rubato e nascosto lui, il tesoro. Ma, alla fine, tutti in paese avevano visto come trovava le cose fortuitamente, senza malizia, e ormai avevano fiducia in lui. Lui era quello che trovava i tesori. Si chiamava Seren.
Alcune volte trovava anche persone smarrite, le incontrava ne posti più impensabili. Una volta dovette tirare fuori un bambino da una grotta, che tutti cercavano dal giorno prima.
Avrebbe potuto continuare a vivere così, serenamente, se non fosse stato per lo Straniero. Il nome non é importante, un nome è solo una mano di vernice colorata che ti versano addosso quando nasci, a coprire qualcosa che nessuno ancora sa.
Lo Straniero era arrivato in paese da poco, era un tipo schivo, taciturno. Non che fosse cattivo, o antipatico. Era solo uno di fuori, che si doveva ambientare in paese. Il problema é che un giorno perse qualcosa, o meglio, qualcuno.

Ora, in paese, la fama di Seren era cosa nota. Tutti sapevano della sua dote. Così, il giorno che videro lo Straniero uscire di casa disperato, che guardava da tutte le parti, in terra, in cielo, a destra, a sinistra, qualcuno capì che aveva smarrito un tesoro. Per fargli un piacere, anche solo per farlo ambientare, gli dissero di Seren. Lo Straniero non vi credette e tornò alla sua vana ricerca.

Qualche giorno dopo Seren uscì di casa per acquistare del cibo al vicino mercato. A qualche passo da casa sua la sua attenzione fu attratta da un luccichio nelle foglie ai lati della strada. Si chinò vide che si trattava di un anello dalla strana foggia. Non era oro, ne argento, ne rame. Il suo colore variava girandolo, dall'azzurro al rossastro. Incuriosito, suo malgrado, rientrò in casa. Lo pose sul tavolo, lo guardò e gli chiese: Chi ti ama?
L'oggetto non rispose. Provò ancora: chi si dispera per te? Ancora una volta l'anello tacque. Seren non riusciva a percepire alcuna risposta da quel tesoro, così sospirò e stava per riporlo quando notò che era macchiato di terra. Pensando di lucidarlo raccolse il panno di lino e lo strofinò sulla macchia.

L'anello si riscaldò, poi gelò d'improvviso. Seren lo lasciò andare sbigottito. Il monile cadde in terra tintinnando e dalla cavità centrale iniziò a fuoriuscire del vapore adamantino. Il fumo si condensò in gocce di rugiada, poi in cristalli di ghiaccio fino a formare una figura femminile, illuminata dentro da una fiamma. Il colore cominciò a ricoprire la pelle della figura, degli abiti diafani apparvero. Seren non credeva ai suoi occhi. Vedeva ora una donna bellissima davanti a sè, dagli occhi di ghiaccio e dai capelli di fiamma, con una veste in cui si mescolavano toni arancio e azzurro. La ragazza si guardò intorno, in silenzio. Mosse il piede nudo in avanti, con passo leggero e sensuale, come se temesse di camminare sul vetro. Lo fissò negli occhi.

«Chi sei, tu?»
Seren non rispose, non riusciva neppure a respirare.
«Sei il silenzio, tu?»
Seren aprì la bocca per parlare.
«Ti chiami Seren, lo so, ma non volevo sapere quello. Io non ho un nome. Se vuoi puoi darmelo tu. L'uomo prima di te mi chiamava Nashira, come una stella. Dice che è una stella caldissima, talmente calda da fare un fuoco azzurro. Talmente rovente da non permettere a nulla di avvicinarsi, e da distruggere chi ci prova. Ti avverto, Seren, ho avuto molti nomi, ma questo è il migliore che io abbia mai avuto.»
«Sei, sei bellissima. Sei bellissima.» Disse Seren.
Come ti ho detto non aveva molte qualità, e se c'era qualcosa in cui soprattutto scarseggiava era nella capacità oratoria, specialmente con una donna davanti. Ma questa frase, per quanto scontata, era sicuramente vera, perchè Nashira era davvero bella, e trasmetteva una sensualità e una intelligenza che la rendevano ancora più preziosa.
Fu in quel momento che Seren se ne innamorò, anche se non lo seppe mai.
«Bene, Seren, sei il primo che mi fa questo complimento! Hai altro da dire o hai intenzione di ripetere questa frase e basta?.»
«No. E Nashira va bene. Ma tu cosa sei?»
«Sono chi sono, non so altro. Perchè, tu sapresti rispondermi alla stessa domanda? Se è così ho davanti un saggio.»
«No, non saprei risponderti. Ma, l'anello, di chi è?»
«L'anello sono io. E io sono mia. Prima era al dito di qualcun'altro. Ora vuoi metterlo tu? Non sarà per sempre, mi perderai. Potrei farti stare bene o farti molto male.»
«Devo.. devo riportarlo. Qualcuno ti starà cercando.»
«Qualcuno cerca sempre qualcun'altro. Mi sembra assodato, no?» Nashira lo guardò con un sorriso ironico. Continuò:
«Vuoi riportarlo? Allora raccoglilo e porgimelo. Io non posso appartenere a nessuno. Tanto tempo fa, quando ero umana, ho amato, fortemente. Ma ora ciò mi è precluso.»
Seren raccolse l'anello e lo porse alla ragazza. Lei allungò il braccio e aprì la piccola mano delicata, con il palmo in su. Seren lasciò l'anello. Il monile cadde, attraversò il palmo e tintinnò in terra.
«Vedi. Non posso toccarlo. Mi attraversa. Il resto del mondo è solido per me, ma mi sfugge proprio ciò che mi lega. E' una maledizione, e non posso spezzarla. Potrei rompere la tua testa vuota, ma nulla posso contro quel piccolo anello di catena. Perciò io sono qui, come mi vedi, fuoco e ghiaccio. Entrambi possono ferire, i due opposti si fondono in me. Solo una piccola parte è ciò che posso offrire, la parte al centro, dove il gelo e il calore si toccano. Solo quella parte non fa male. Mi vuoi?»
Seren sentì qualcosa montargli dentro, inondarlo. Aveva capito cosa intendeva quella creatura. Aveva provato poche volte l'amore, e in qualche modo lo conosceva, ma questo era diverso. Ne aveva paura, la schiettezza di lei lo allontanava, eppure voleva quel tiepido, era disposto a correre il rischio sia di bruciarsi che di congelare. Una parte di lui voleva riportare l'anello, ma una voce che non conosceva, al centro dell'anima, urlava: E' TUO! LO HAI TROVATO! PERCHE' DEVI RINUNCIARVI!
La guardò. Lei distolse lo sguardo, come imbarazzata, come se non potesse sostenere un'altra volta, un'altra volta, quella storia.
«Si.»
«Allora abbracciami.»
Seren si avvicinò. Poggiò le mani sulla schiena, toccò una parte arancione. Subito un calore insopportabile gli fece allontanare la mano. La spostò verso l'alto e un freddo gelido la congelò. Si fece indietro. Nashira lo guardava con un sorriso ironico e triste, gli occhi azzurri socchiusi.
«Ti avevo detto che sarebbe stato difficile.»
Seren guardò la mano. Piccole piaghe erano apparse sul palmo, e la punta delle dita era rigida e insensibile. Stava per rinunciare, quando qualcosa dentro di lui lo fece riavvicinare. La abbracciò con entrambe le mani stavolta, ponendone una sulla parte arancionde del vestito, l'altra su quella azzurra. Subito un'ondata di pace e felicità gli piegò i sensi. Non aveva mai provato nulla di simile.
«Così va bene, Seren. Sei meno stupido di quanto credessi. Ma riuscirai a ricordarlo, riuscirai a fare OGNI VOLTA così?» Gli chiese Nashira, sussurandogli all'orecchio. I capelli erano caldi e morbidi contro la sua guancia.
«Non mi interessa, ci proverò. Dovessi rimetterci entrambe le mani.»
Rimasero così per un pò.

Passarono dei giorni, e lo Straniero non si era rassegnato. Era persino tornato indietro con il cavallo per la strada che aveva fatto quando era giunto al paese. Voleva il suo tesoro, lo desiderava. Non riusciva a mangiare, a dormire. E, proprio la sua assenza, glielo faceva desiderare ancor di più, come succede sempre, ed è una cosa che imparerai. Quando vedi una nave che si allontana, a vele spiegate, vorresti sempre allungare la mano e trascinarla di nuovo verso di te, dolcemente.

Alla fine lo Straniero si decise. Seren, dicevano tutti, sapeva trovare ogni cosa. Seren, colui che trova. E, fosse un tesoro immenso o una piccola cosa, restituiva tutto, era sempre stato così. Lo Straniero andò a casa di Seren. Bussò, e una voce rispose:
«Chi è?»
Seren era perso nella sua felicità, Nashira gli aveva aperto le porte di un mondo bellissimo che stava scoprendo ora. Lei cercava di allontanarlo, di riportarlo alla realtà con la paura e con l'ironia, ma lui non si faceva impaurire e, indipendentemente dalla ragione, qualcosa dentro di lui fioriva senza ricevere acqua.
Seren aprì, e si ritrovò davanti lo Straniero. Lo conoscevano tutti, anche Seren, come in ogni piccolo paese. Le voci girano, e tutti conoscono tutti. Seren si gelò. Collegò subito l'anello con lo straniero. Una voce si fece sentire, pulita, gli disse di ridargli l'anello, come aveva sempre fatto in passato. Ma lui ormai era felice, e, come tutte le persone felici, voleva mantenere quella felicità il più a lungo possibile, anche se, in cuor suo, sapeva che sarebbe durata comunque per poco tempo. Ma sapere e sentire sono due cose diverse, e anche questo lo imparerai con il tempo.
«Puoi aiutarmi? Ho perso qualcosa di importante. Ti pagherò, sono ricco.»
«Cosa cerchi?»
«Un'anello, è un ricordo. Lo cerco da giorni. In paese si dice che trovi le cose. E che sei onesto. Lo troverai per me?»
Seren sentì una fitta al cuore. Non poteva dire di no. Sarebbe parso strano a tutti, non si era mai rifiutato. Decise di prendere tempo.
«Va bene. Ma, non so se ti hanno detto anche non sono io che cerco le cose, sono loro che vengono da me. E vengono quando vogliono loro. Perciò non posso dirti quando lo troverò.»
Lo Straniero fece una smorfia di dolore, poi annuì. Attaccò a descrivere l'anello ma Seren lo fermò. Non aveva bisogno di sapere come era fatto un tesoro per poterlo trovare. Il suo era un legame con il mondo nativo, dove le cose non hanno nome, o forma, o colore. Si accommiatarono e Seren tornò in casa.

La trovò seduta su di un cuscino, che lo guardava. Era bella come una rosa racchiusa da spine. Era anche colta, stava insegnando a Seren a leggere e scrivere, ad amare l'arte, la pittura, la musica. Il suo sorriso ironico lo inchiodò.
«E ora, Seren, mi troverai?»
«Non lo so. Ero diverso prima, non so cosa sono adesso, ma qualcosa è diverso in me. Non voglio perderti per farti ritrovare da qualcun altro. So che ti perderò, ne sono cosciente, ma non mi interessa.»
«Ti sto facendo del male, Seren. Torna alla tua vita di prima. Gettami via, getta via l'anello. Non sei abbastanza forte.»
«Sto bene, non sono forte ma non mi interessa. Ogni cosa bella chiede il suo prezzo. Non ho paura a pagarlo. Ho avuto paura di tante cose, anche piccole, ma ora no, e sono il primo a stupirsene. Solo una cosa: dovrai rimanere segreta.»
«Sono sempre stata segreta. Sono abituata ormai. Ho fatto male e mi è stato fatto del male, ma una cosa è sempre rimasta: nessuno mi ha mai condivisa con il mondo.»

Ma in un paese alla fine le cose si vengono a sapere. Seren usciva meno, e quando acquistava il cibo ne prendeva di più. Ogni tanto lo Straniero tornava a chiedere notizie, e Seren negava. Alla fine qualcuno disse allo Straniero che Seren era cambiato, e che di solito ritrovava le cose in breve tempo. Lo Straniero capì. E impazzì.

Tale era la forza dell'anello, e della ragazza che vi era legata. Era una maledizione e una benedizione assieme. Vita e oblio, fuoco e ghiaccio. Un tempo era stata una donna normale, e non ci è dato di sapere come la sua storia sia cominciata. Ora era qualcosa di ineluttabile, un cambiamento, uno stravolgimento. Molti erano impazziti per lei. Lei non dava speranze, ma alla fine tutti ne erano pieni. Lei allontanava, loro si avvicinavano. Lo Straniero impazzì.

Corse allora, corse urlando fino a casa di Seren. Si lanciò contro la porta. La divelse con la forza alimentata dalle braci della fllia. La vide. Li vide.

Si gettò su Seren, lo colpì, cercò di immobilizzarlo mentre con una mano cercava di prendere l'anello. Seren non era forte ma si difese, o meglio, difese l'anello. Non sentiva i colpi che gli venivano inferti, vedeva solo quella mano che si protendeva. Lottarono, mentre Nashira li guardava con tristezza. Teneva le mani in grembo, come legate da una corda invisibile.

Alla fine uno dei due prevalse, e fu lo Straniero. Prese l'anello, e fuggì. La ragazza scomparve, divenne fumo, e seguì la figura in fuga. Seren si alzò e si lanciò all'inseguimento, correndo, piangendo. Raggiunse lo Straniero sulla riva del fiume. Molte persone del paese li videro, videro la lotta, videro il calmo Seren farsi avanti, colpire la mano dello Straniero. Videro quella strana nebbia contrarsi, sparire, un'oggetto metallico volare nel fiume. I due si immobilizzarono, si guardarono, e si gettarono assieme dalla riva.


Il padre tacque, metre il bambino assonnato sbadigliava.
«Papà, alla fine chi prese l'anello? Seren o lo Straniero? Chi visse felice con la ragazza?»
«C'è chi dice che l'acqua sciolse l'incantesimo, chi afferma che morirono entrambi, chi dice Seren, chi dice lo Straniero. Non si sa. Alcune storie non hanno una fine definita, esistono solo perchè sono belle, e vanno raccontate, e ricordate. E allora è meglio lasciarle là, sospese a una nuvola. Dormi ora.»

Ah, sarò stupido, ma questa è dedicata a te. Da quello che scrive. Grazie di tutto, amica mia.